Il Palazzo dell’Opera del Duomo, posto a delimitare il lato Ovest della Piazza del Duomo è la sede storica dell’Ente tuttora funzionante; ospita la Presidenza, gli Uffici Amministrativi, l’Archivio Storico e la Biblioteca, una sala conferenze.
L’edificio si compone di due corpi di fabbrica; uno, più antico, addossato al palazzo Palazzi (poi Saracinelli, ora Crespi), l’altro, di costruzione moderna, attiguo all’ex Ospedale di S. Maria della Stella; i due corpi, al pianterreno, sono separati da una strada pubblica, il vicolo dei Dolci.
La facciata a tre ordini, con la sua impostazione simmetrica conferisce unità alle due parti del palazzo e trova il suo punto di focalizzazione e di raccordo nella loggia centrale al primo piano.
Le prime attestazioni della residenza del Camerlengo dell’Opera risalgono al 1356, anno in cui si avvia la sistemazione della piazza del Duomo, condizionata, come tutti i fabbricati intorno, dalla presenza del grande cantiere del Duomo. Vengono utilizzati come sede della Fabbrica alcuni edifici risparmiati dalle demolizioni effettuate nella zona detta del Migliarino, compresa tra la parte meridionale della rupe e l’attuale via Maitani, per l’ampliamento dell’area antistante la cattedrale.
È tra il XVI ed il XVII secolo che la casadell’Opera assume la fisionomia di un vero e proprio palazzo ed anche in questo caso, la trasformazione è legata alla riquadratura della piazza del Duomo, stabilita nel 1556, che assumerà come termine di confine il sedile in pietra tutt’ora esistente alla base della facciata del palazzo dell’Opera. Testimonianza di una fase avanzata del barocco orvietano sono, invece, il portale fiorito, con gli ornati a cartoccio, e le cornici delle finestre, opere in travertino del 1623; allo stesso periodo risalgono le due epigrafi in onore dei papi Martino V e Leone X, fatte incidere sulla facciata e all’ingresso del palazzo dal camerlengo Filidio Marabottini, a sottolineare l’autonomia dell’Opera.
Dopo quelli barocchi, per avere altri interventi significativi alla sede dell’Opera si deve attendere il progetto di restauro eseguito dall’architetto Virginio Vespignani (1857), che prevede l’ampliamento verso sud del palazzo, a partire dal vicolo dei Dolci (già del Migliarino) per un volume pari quello già esistente, ed una facciata unitaria, caratterizzata da finestre ornate con mensole e frontoni di stile neoclassico in stucco al primo piano e da un ordine superiore in cui finestre quadrate, più piccole, si alternano a ritratti di pontefici a mosaico (mai eseguiti). Nel progetto, grande importanza assume la loggia centrale, chiusa da due colonne di granito orientale bianco e nero con pareti e archivolto dipinti e sormontata da un frontone di coronamento.
La nuova ala del palazzo, rispondente all’esigenza di una più idonea collocazione del prezioso patrimonio documentario, nonché dei numerosi oggetti artistici dell’Opera (confluiti nel Museo) è completata, dopo un’interruzione di alcuni anni, soltanto all’inizio del XX secolo, con un nuovo progetto dell’ing. Paolo Zampi (1899). Rispetto a quanto previsto dal Vespignani, Zampi sostituisce la balaustra rettilinea della loggia, con una sporgente e curvilinea, propone l’imitazione delle finestre seicentesche del primo piano per quelle previste nella parte nuova del fabbricato e aggiunge sulla cornice di finimento del fabbricato un attico con pinnacoli piramidali alle estremità come motivo decorativo e per rialzare il prospetto del palazzo.
I lavori di ‘finimento’ sono affidati, nel 1900, al marmista intagliatore orvietano Pietro Montanucci (decorazione delle porte, delle finestre, delle mensole della loggia); nello stesso anno si provvede alla posa in opera dello stemma di coronamento della facciata (opera del Montanucci, per le parti in marmo, e di Mellito Angelici, per le parti in commesso e mosaico), sorretto da due putti, recuperati dalla demolizione, eseguita alla fine Ottocento, degli altari cinque-seicenteschi nell’interno del Duomo; sono inoltre eseguiti dagli orvietani Gioacchino ed Enrico Neri i lavori in stucco: il cornicione tra il primo e secondo piano, l’archivolto dell’arco centrale, i bugnati.
Nel 1901 il pittore romano Pietro Ridolfi realizza la decorazione dell’interno – la Sala dell’Archivio, gli Uffici, la Presidenza -, sia ad affresco, sia con la particolare tecnica della pittura su carta poi incollata al soffitto; contemporaneamente si provvede alla pavimentazione ed al mobilio.
Il Palazzo dell’Opera vedrà un ulteriore ampliamento con la costruzione di un’intera ala sul lato posteriore, negli anni 1905-1906.
Nel 1991-1993, la facciata è stata sottoposta ad un restauro architettonico, necessario per risolvere il grave problema del distacco degli intonaci, dovuto alle infiltrazioni dell’acqua, e per rimuovere la patina nera, dovuta alla polvere, ai licheni ed alla microflora batterica, che ricopriva, soprattutto, le parti in travertino della facciata, ripristinando, così, le cromie originarie. Nel 2002, la Presidenza ha ritenuto opportuno provvedere alla pavimentazione dei vani d’ingresso con il marmo rosso di Prodo.